The water is worth a cyberwar (Italian)

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L’acqua val bene una cyberguerra

A Tel Aviv un summit di matematici, imprenditori e specialisti di intelligence: “Ecco come difenderemo l’oro blu”

Oren Segev è un matematico e gli algoritmi lo accompagnano da sempre. Quando era ufficiale dell’esercito israeliano e anche adesso, ricercatore per la società high-tech IoSight. Qui l’oggetto dei suoi studi teorici e delle sue applicazioni è la realtà più universale che c’è, apparentemente banale eppure straordinariamente complessa: l’acqua. Gli algoritmi sono i gangli nervosi di una serie di sensori che la IoSight ha installato lungo il fiume Giordano, una delle fonti idriche di Israele. E quella intelligenza offre qualcosa che – spiegata con pazienza da Segev – spalanca un modo di sorprese, tra opportunità inattese e impensabili terrori. «Si tratta di nuove soluzioni per affrontare nuove sfide», sintetizza in forma di slogan, evocando subito dopo il paziente lavoro per educare i software a leggere e interpretare l’«oro blu», a partire dal Big Data, gonfio di masse di dati in evoluzione, fino al «machine learning», il processo cognitivo che dà forma all’Intelligenza Artificiale.
Il problema è ancora al di là del senso comune, ma – sottolinea Segev – l’acqua è uno degli obiettivi del cuore di tenebra che incombe sulle società ipertecnologiche: la cyberguerra. È lì che dimensione fisica e dimensione virtuale si scontrano, generando le prossime emergenze. Che cosa accadrebbe se i sistemi computerizzati di una diga o di un acquedotto finissero sotto attacco informatico e un hacker – in forma di lupo solitario o con le sembianze di un gruppo cybercriminale o cyberterrositico – mandasse tutto in tilt? Potrebbe contaminare ogni goccia che scende dai rubinetti di milioni di abitazioni o bloccarle, seminando un panico difficilmente controllabile. Sembra un’opzione fantahorror, da aggiungere alle troppe ansie che ci attanagliano, ma non è affatto così.
Ecco perché Segev è al lavoro e si racconta volentieri: se l’identità del nemico resta avvolta in una nube che ne confonde le sembianze, l’allarme è chiaro nei suoi mutevoli aspetti, nella vita civile e
nelle attività industriali. «I sensori identificano velocità e qualità dei flussi del fiume, li valutano secondo una scala da 1 a 10, e poi elaborano i rapporti in tempo reale – spiega -.
Online e in laboratorio». Così Mekorot – la società numero 1 in Israele per le forniture idriche – può disporre delle informazioni con cui parare subito il colpo. In caso di blitz che dai malware – i software «cattivi» – si diffondono nelle profondità del Giordano scattano quindi le contromisure. Il più rapidamente possibile e, almeno al momento, le più efficaci. «Ingegneria e matematica – aggiunge con orgoglio – si combinano».
È una coppia solida che fa il paio con un’altra e che il chairman di IoSight, Yoav Navon, esemplifica così: «Sicurezza e business». E non è un caso che l’intreccio di elementi eterogenei come acqua, cyberguerra e start-up siano diventati protagonisti dell’evento «Watec 2017» di Tel Aviv: qui, in una delle capitali mondiali dell’innovazione, si è dato appuntamento, dal 12 al 14 settembre, il meglio dell’high tech dell’acqua. Ricercatori e accademici, aziende e investitori, «venture capitalists» accanto a specialisti e amministratori (quelli che amano definirsi «decision makers»), hanno messo insieme idee e competenze, oltre che prodotti, per espandere il raggio d’azione di un settore cruciale: nel XXI secolo l’acqua sarà ancora più essenziale di ciò che è stato il petrolio nel XX. Una linfa da utilizzare senza abbandonarsi agli eccessi dell’oro nero, ma con le logiche eco e bio che innervano oggi le strategie globali.
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